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SOFIA SPAGNOLI
Economia

Microchip: una Silicon Valley in Italia? Intel ci prova

Piemonte e Veneto in lizza per il progetto del colosso americano. In ballo 5mila posti di lavoro

Intel, il colosso americano dei microchip (Ansa)
Intel, il colosso americano dei microchip (Ansa)

Roma, 7 luglio 2023 – Una silicon Valley Made in Italy? Forse sì. È il grande investimento che potrebbe essere portato a compimento entro il 2027 da Intel, il colosso americano specializzato nella produzione chip, schede madre e circuiti integrati. La posta in gioco è alta: oltre nove miliardi, il 30% dei quali coperti dal governo italiano, finalizzati alla creazione di un enorme centro di assemblaggio di microchip. E il polo in pieno funzionamento genererebbe una spinta propulsiva anche allo sviluppo occupazionale del Paese: oltre 5mila posti di lavoro, 1500 dei quali diretti, ossia dipendenti della multinazionale a stelle e strisce, e 3500 indiretti.

Piemonte o Veneto? 

Per ora le due regioni candidate a ospitare il sito sarebbero il Piemonte e il Veneto. Negli scorsi giorni sia il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, che il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, hanno incontrato il ministro Adolfo Urso, per proporre e convincerlo della validità delle rispettive regioni.

“Il Governo è disponibile a mettere sul piatto 3 miliardi di euro, come richiesto da Intel, pur di vedere confermati i progetti del colosso mondiale dei chip in Italia - precisa il ministro - La task force creata al mio ministero ha già incontrato oltre 80 aziende di Taiwan, Corea, Giappone e Usa per garantire le migliori opportunità di insediamento”. Il lavoro per convincere Intel a scegliere il Belpaese, includendo l’Italia nella geografia dei siti produttivi della company non si è mai fermato. La corsa però non è in solitaria, c’è la concorrenza di Irlanda e Spagna

Perché Intel sogna l’Europa? 

Il sogno europeo arriva alla luce di diverse questioni. Va specificato che Intel da alcuni anni cerca di ampliare la propria filiera al di fuori dei confini statunitensi, investendo anche nel Vecchio Continente. Basti pensare che solo nel mese di giugno, la multinazionale ha siglato due contratti, con Germania e Polonia. In Polonia costruirà un impianto di assemblaggio e collaudo con un investimento da 4,6 miliardi. In Germania ha trovato l’intesa con il governo tedesco che assicura 10 miliardi di dollari di sovvenzioni. In questo modo, Intel dà piena attuazione al Chips Act.

Che cos’è il chips act? 

È una proposta di legge europea sui semiconduttori, che è stata approvata lo scorso aprile, che ha come obiettivo quello di garantire l'approvvigionamento di chip agli stati dell’Unione europea, rendendoli il più possibile indipendenti. L'obiettivo è di raddoppiare dal 10 al 20% la quota comunitaria nella produzione di semiconduttori.

Tsmc: il monopolio dei chip 

Dal Pos alla lavatrice, dall’automobile al cellulare: tutti gli oggetti smart sono oggi dotati di un chip, un microprocessore integrato. Ma chi produce la maggior parte dei chip per gli smartphone? La risposta è Tsmc: Taiwan Semiconductor Manufacturing Company. Tra i clienti di Tsmc ci sono tutti i big dell'elettronica: Qualcomm, Apple, MediaTek e persino Intel affidano all'azienda di Taiwan la produzione di chip. Al momento il colosso dell'elettronica ha nove fabbriche a Taiwan, due in Cina e due in Usa. Il segreto del suo successo è tutto da ricercare negli investimenti in ricerca avanzata, che pesano per l'8% del fatturato annuo.

Riprendendo alcuni dati, il fatturato dell’ultimo trimestre del 2022 di Tsmc è aumentato del 42,8% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 20,6 miliardi di dollari. L’utile ha raggiunto i 9,7 miliardi di dollari.

Paura o lungimiranza? Si auspica l’autonomia 

Considerando che il 55% dei chip prodotti a livello mondiale escono dalle fabbriche di Tsmc, ovvero da un'azienda sotto il controllo cinese, sono stati molto i tentativi in questi anni da parte degli States e dell'Ue di svincolarsi da questa dipendenza. Si respira sempre nell'aria la paura di essere vittime delle politiche cinesi, con il timore di rallentare, ancora una volta, la filiera tecnologica anche in Occidente (cosa già sperimentata con la crisi di produzione dei prodotti Apple tra la fine del 2022 e l'inizio del 2023 a fronte delle politiche zero covid stabilite da Xi Jinping).

Questa auspicata autonomia potrebbe essere una delle ragioni che spinge molti dei colossi dell’elettronica occidentale a investire sulla costruzione di nuovi poli in giro per il mondo. Lungimiranza? Paura? Sicuramente dietro c'è sempre la politica.