Guerriglia in Francia Oltre 1.300 arresti Un manifestante su tre ha meno di 18 anni

Ancora caos, distruzione e feriti. Macron rinvia la visita in Germania. Il ministro della giustizia: puniremo chi istiga attraverso i social network.

Guerriglia in Francia  Oltre 1.300 arresti  Un manifestante su tre  ha meno di 18 anni
Guerriglia in Francia Oltre 1.300 arresti Un manifestante su tre ha meno di 18 anni

PARIGI

La massiccia presenza delle forze dell’ordine, 45mila uomini, non ha impedito nuovi disordini e incidenti in Francia. Le violenze hanno avuto una "intensità minore rispetto alle giornate e alle notti precedenti", secondo il ministro degli interni Gérald Darmanin, il quale ha aggiunto che "vincerà la Repubblica, non i rivoltosi". La situazione generale però continua a rivelarsi grave. Talmente grave da costringere Emmanuel Macron a rinunciare alla visita ufficiale prevista da oggi a martedì in Germania. Non è un bel segnale che viene dato al mondo, a meno di un anno per il via delle Olimpiadi a Parigi. Gli operatori turistici sono spaventatissimi; l’immagine degradata che viene data della Francia rischia di provocare diserzioni e disdette in massa, con effetti drammatici sull’economia.

Resta il fatto che Macron non poteva fare diversamente: nessuno può prevedere quel che accadrà nei prossimi giorni e lui ha il dovere di restare in patria: lo ha spiegato nel corso di una lunga telefonata al suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. È da ricordare che il presidente francese aveva già accorciato la propria presenza al vertice di Bruxelles venerdì scorso. Tre mesi fa, inoltre, aveva annullato la visita in Francia di re Carlo III d’Inghilterra a causa degli incidenti per la riforma pensionistica.

Ieri mattina una terza riunione dell’unità di crisi interministeriale, cui Macron non ha partecipato, ha fatto il punto. Il primo dato preoccupante è stato dato dal ministro della giustizia Eric Dupond-Moretti: il 30 per cento dei giovani rivoltosi sono minorenni in età fra gli 11 e i 17 anni. Dupond-Moretti ha spiegato in particolare che lo Stato vuole avviare procedimenti contro le persone che istigano alla violenza attraverso i social network come Snapchat. Il bilancio della quarta notte di scontri è pesante: 1.311 persone fermate, 79 feriti fra poliziotti e gendarmi,1.350 automobili bruciate, 234 edifici dati alle fiamme o danneggiati, 2.560 incendi nelle strade. Sono stati attaccati 31 commissariati, 16 uffici di polizia municipale, 11 caserme della gendarmeria, più un numero imprecisato, ma comunque molto elevato, di negozi e supermercati saccheggiati. Marsiglia e Lione sono state le città più “calde”: per sventare il peggio sono state inviate sul posto unità di polizia specializzate nella guerriglia urbana.

Uno degli episodi più gravi si è verificato nella banlieue di Lione, a Vaulx-en-Velin, dove una ventina di poliziotti motociclisti accorsi per proteggere una scuola incendiata sono stati accolti da una sessantina di giovani armati: "Ho visto un ragazzo sui vent’anni con una maschera bianca sul viso che ha puntato contro di me un fucile da caccia e ha sparato. I proiettili sono arrivati dappertutto, mi sono trovato con i pantaloni di sicurezza lacerati. Un agente è stato colpito al viso e ha rischiato di perdere un occhio, 7 di noi sono stati feriti. Ci ha salvato solo il fatto di essere a una ventina di metri di distanza, il che ci ha permesso d’invertire la rotta e allontanarci". Due sindacati di polizia hanno denunciato lo stress degli agenti in un comunicato in cui si dice che "oggi i poliziotti sono in guerra e domani faranno la resistenza. Il governo dovrà prenderne coscienza". Immediata la protesta della sinistra che ha letto in queste parole – ha detto Mélenchon – "un appello alla guerra civile".

Non ci sono stati per fortuna incidenti ai funerali a Nanterre di Nahel, il diciassettenne francese di origini algerine ucciso da un poliziotto durante un controllo stradale. La madre del giovane ha voluto esequie in forma privata, senza telecamere né giornalisti. Una folla di amici del defunto si era radunata per la cerimonia funebre nella camera ardente, molti vestiti con la djellaba, l’abito tradizionale arabo. Accanto alla bara bianca, in lacrime, c’erano la madre, la nonna e gli amici intimi del giovane. Otto di loro hanno portato la bara a spalle fino alla moschea Ibn Badis, molto vicina al luogo in cui martedì scorso è avvenuto il dramma, poi un centinaio di giovani in scooter o in moto hanno accompagnato il feretro fino al settore musulmano del cimitero di Mont Valérien. Erano tutti uomini: nessuna donna ha assistito all’inumazione.

Giovanni Serafini