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GABRIELE
Cronaca

Oltre le risse c’è una giustizia da cambiare

Gabriele

Canè

Eppure bisognerà continuare a mettere mano alla Giustizia. Che non significa manomettere l’impianto costituzionale, punire questo o privilegiare quell’altro. Figuriamoci. Più semplicemente andare avanti, oltre i primi passi della riforma Cartabia, e del disegno di legge Nordio. Bisognerà farlo anche se non è facile muoversi, orientarsi in mezzo al fumo denso delle polemiche sui "casi" La Russa, Santanchè, sull’imputazione coatta del sottosegretario Delmastro, il più clamoroso giuridicamente, ma meno interessante mediaticamente: Delmastro? Chi era costui?

Bisognerà farlo, e non sarà facile, per il semplice motivo che la nostra giustizia funziona male e va riformata. Perché lo esige l’Europa con il Pnrr. Perché ha avuto una accelerazione da Draghi con un taglio dei tempi istruttori e una spinta alla digitalizzazione. Perché l’abolizione del reato di abuso di ufficio (quasi il 100% di assoluzioni) darà un beneficio a tanti amministratori onesti. Ma è ancora poco. Perché nella classifica europea la nostra giustizia civile è ultima con una media di oltre 7 anni per arrivare a sentenza, il che significa paralisi della vita di persone e aziende. Perché siamo tra i pochi paesi in cui il pm può ricorrere contro l’assoluzione in primo grado di un imputato. Perché mancano uomini e mezzi, e molte procure tra indagare un babbo di Renzi o le bande che svaligiano case e truffano anziani non hanno dubbi: scelgono Renzi e le prime pagine. Fino ad assoluzione dell’imputato. La vera sfida di Giorgia Meloni sta proprio qui: andare avanti a prescindere dai casi, orientandosi nel fumo, perché le cose da fare sono note, evidenti, datate. Evitando in ogni modo le polemiche (e neutralizzando chi le provoca), il terreno paludoso in cui da 30 anni tutto si impantana perché ogni azione viene fatta o letta in chiave politica. Le sabbie mobili su cui galleggiano le risse, e affondano le riforme.