Romanzo partigiano a Monte Sole Il mito del Lupo fra luci e amarezze

Romanzo partigiano a Monte Sole  Il mito del Lupo fra luci e amarezze
Romanzo partigiano a Monte Sole Il mito del Lupo fra luci e amarezze

Sulla cima più alta di Monte Sole, al culmine di un ripido e sassoso sentiero che si fa largo fra gli alberi, c’è una lapide: “Gloria eterna – così nelle parole scolpite nella pietra – ai partigiani che su questi monti immolarono la loro esistenza per la libertà e l’indipendenza d’Italia“. La stele è sovrastata da una stella rossa e subito sotto l’iscrizione, come fosse vergata a mano, ecco la scritta “W il Lupo“. Potremmo dire che il “romanzo partigiano“ di Claudio Bolognini (Stella Rossa, Red Star Press) è uno sviluppo letterario di questa pietra della memoria. La strage di Monte Sole (770 morti, la più grave in Italia nella Seconda guerra mondiale), avvenuta fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, fa da sfondo storico al romanzo, che si snoda fra una delicata storia d’amore e il racconto delle imprese di uno dei più famosi e chiacchierati gruppi partigiani d’Italia, appunto la Stella Rossa, formazione guidata dal Lupo, al secolo Mario Musolesi, che la mise in piedi, all’indomani dell’8 settembre, quando fece ritorno a casa dopo la fuga dalla prigionia in Nord Africa e dopo la battaglia di Porta San Paolo, combattuta nel disperato tentativo di difendere Roma dall’occupazione nazifascista.

Pagina dopo pagina, prende forma il mito del Lupo, comandante insofferente alle ingerenze dei partiti e capace di radicare sui suoi monti un gruppo combattente assai temuto; un uomo attorno al quale circolano ancora molte leggende (anche leggende nere). Bolognini racconta fra l’altro la giornata che gli fu fatale, il 29 settembre, quando il Lupo fu sorpreso a Cadotto con alcuni suoi compagni e cadde nel tentativo di fuggire armi in pugno; racconta anche il suo funerale (insieme con altri caduti) l’anno dopo a Bologna, lasciando nel lettore un senso di amarezza, la stessa dei protagonisti del romanzo, rientrati nella vita comune col cuore gonfio di orgoglio ma anche di molto, troppo dolore.

Lorenzo Guadagnucci