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ANDREA SPINELLI
Magazine

Sessant’anni con Rita: "Mi regalo un Tour"

La Pavone festeggia l’anniversario della sua carriera. "Mi piace ricordare, ma non vivo al passato e voglio mettermi ancora in gioco"

Rita Pavone
Rita Pavone

Roma, 5 luglio 2023 – Gene Simmons, il vampiro linguacciuto dei Kiss, è un suo fan. E così Morrissey, che ammette di essere cresciuto ascoltandola cantare Heart. È una carriera piena di attestati di stima al di là di ogni immaginazione quella che Rita Pavone porta domani in piazza Garibaldi a Cervia, sul palco della Milanesiana, e il 9 luglio su quello del Castello Sforzesco di Milano, con prologo stasera al Teatro Comunale di Predappio, dove riceve il Premio ForlìMusica.

"Pure Agnetha Fältskog degli Abba mi ha messo tra le interpreti che l’hanno ispirata, mentre Nina Hagen ha voluto addirittura incidere Wenn Ich Ein Junge Wär , il mio primo grande successo tedesco", racconta l’eroina di Fortissimo e Come te non c’è nessuno, 77 anni. "Con tutto quello che ho fatto (e venduto), fossi nata oltre Manica oggi sarei lady, mentre in Italia rimani sempre sotto esame".

Citando Bertoli, il nuovo spettacolo s’intitola “Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. Perché?

"Nella scelta il caso ha avuto un suo ruolo. Volevo festeggiare i miei sessant’anni di carriera senza star lì a dire che sono sessanta, così mi sono messa alla ricerca di una frase emblematica e, quando ho visto alla tv un ragazzo che cantava A muso duro di Pierangelo Bertoli, mi sono ritrovata molto in quel guerriero senza patria e senza spada. Proprio vero che il frutto non cade mai lontano dalla pianta, visto che il ragazzo in questione era Alberto Bertoli. Bravo come il padre".

Parliamo del piede nel passato.

"Mi piace ricordare, ma non vivere di ricordi. Anche perché amo mettermi in gioco, come accaduto a Sanremo tre anni fa. E chi se ne importa del 17° posto davanti all’emozione che ha saputo regalarmi la standing ovation dell’Ariston dopo 48 anni d’assenza. Sarebbe stato bello sfruttare l’occasione per tornare subito in tour, ma la pandemia ci ha castigati tutti. Forse era destino che dovessi attendere questo anniversario per riuscirci".

Folgorata sulla via dell’hit-parade da chi?

"All’inizio da gente come Bobby Darin, Frankie Avalon, Paul Anka, Elvis, Jerry Lee Lewis, poi col tempo sono arrivati crooner alla Frank Sinatra o Tony Bennett. Piacere agli americani mi ha permesso di calcare i palcoscenici dei più grandi, a cominciare da Beach Boys, The Supremes, Sammy Davis Jr. Tanto per avere un’idea, il 7 marzo del ’65 ero all’Ed Sullivan Show e il mio era il terzo nome in cartellone dopo quelli di Duke Ellington ed Ella Fitzgerald. Per caratura, vocalità ed energia straripante, però, la mia massima ispiratrice è stata (e rimane) Tina Turner".

E quel 20 marzo ’65 alla Carnegie Hall se lo ricorda?

"Come no. Ricordo innanzitutto la coda al botteghino, che faceva il giro dell’isolato tenuta sotto controllo dagli agenti di polizia a cavallo, e l’affetto di Ed Sullivan che volle introdurmi sul palco personalmente".

Quando nell’89 scrisse Gemma per parlare di amori femminili lo sguardo era già dritto e aperto sul futuro.

"Una canzone di Bobby Darin dice che la vita è uno sparo; proprio per questo penso che abbiamo tutti il diritto di trovare la felicità con chi vogliamo. Fra gli uomini c’è più unità e solidarietà che fra noi donne e la cosa ci rende più vulnerabili e più sole. Spesso solo davanti ad un bicchiere di spritz ci lasciamo andare a parlare, a raccontarci il privato. Ed è da certe riflessioni che nacquero tanto la canzone che l’album Gemma e le altre. La gente ha il diritto di vivere quel che sente, ma certi argomenti non devono diventare un modo per far parlare di sé. E, invece, oggi spesso mi sembra che facciano parte del business".

Vent’anni fa l’operazione al cuore. Poi la rinascita.

"Mi trovarono due occlusioni al tronco dell’aorta. Abbracciai i miei figli pensando: stai a vedere che tengo fede al mio cognome e ci lascio le penne. Sono, però, abbastanza fatalista e la morte non mi fa paura. Penso che dall’altra parte ci aspetti qualcosa di bello, se no sarebbe inutile questo transito terrestre, questa strada di rose e di spine su cui camminiamo tutti".

Rimpianti?

"Ne ho avuti alcuni ma, come cantava Sinatra, sono troppo pochi per star qui a menzionarli. Venendo da una famiglia dignitosa, ma di umili origini, ho avuto in dono un’esistenza talmente varia, talmente bella, che, quando non ce la farò più ad esprimere fino in fondo sul palco quel che sento, fare il fatidico passo indietro non comporterà alcun problema".

Ci sarà stata almeno un’occasione perduta...

"Sì, una. Non essere rimasta in America quando l’Rca Victor mi propose un contratto ‘worldwide’ per tre album. L’America t’insegna un modo di lavorare che da noi non esiste. Purtroppo ero minorenne e mio padre disse di no. Oddio, disse no pure al matrimonio con Ferruccio (Teddy Reno, 97 anni fra una settimana - ndr ), ma lo sposai lo stesso. E dopo 55 anni siamo ancora assieme".

Quando ha capito che sarebbe diventata “La Pavone”?

"Mio marito è melomane e quando avevo 18-19 anni andammo a far visita a un suo amico, il grande tenore Giacomo Lauri-Volpi. Abitava a Burjassot, vicino Madrid. Ascoltandomi cantare disse che la mia era una voce ancora acerba perché non sapevo usare bene il diaframma, ma un giorno sarei riuscita a trovare la giusta strada… come Maurice Chevalier. Non avevo mai ricevuto un complimento così".

E allora, a quale eroina del melodramma pensa di somigliare di più?

"Carmen. Anche per me, infatti, “l’amour est un oiseau rebelle“. Non per niente mi chiamo Pavone".