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MATTEO MASSI
Magazine

L’Italia di Gardini che non riuscì a volare

Trent’anni fa a Milano il suicidio del capitano di impresa di Ravenna. Un innovatore, un Icaro contemporaneo travolto dall’onda di Mani pulite

Raul Gardini (1933-1993) sul Canal Grande a Venezia (foto Fondazione Gardini)
Raul Gardini (1933-1993) sul Canal Grande a Venezia (foto Fondazione Gardini)

Il papà Ivan per dieci anni l’aveva sempre ripreso. "Non ha avuto pace fino a quando non ho imparato a camminare alzando bene i piedi da terra". Raul Gardini ha avuto due padri: Ivan appunto e Serafino Ferruzzi, suo suocero. Entrambi gli hanno insegnato a camminare. Il resto ha fatto tutto da solo. A modo suo, o meglio A modo mio come il titolo di quest’intervista che Raul Gardini rilasciò a Cesare Peruzzi nel 1991 (ripubblicata ora in una versione aggiornata per Baldini & Castoldi). Due anni prima che la parabola di Gardini, appena 60enne, finisse a Milano. Era il 23 luglio 1993. L’Italia era dilaniata dall’inchiesta Mani Pulite. Il 1993 fu forse peggiore del 1992, perché fu l’anno dei suicidi. Gardini fu trovato morto a Palazzo Belgioioso, la sua residenza milanese, pochi giorni dopo che Gabriele Cagliari, presidente Eni, si tolse la vita nel carcere di San Vittore. Un colpo d’arma da fuoco alla tempia e la pistola sul comodino. Enimont e la maxi tangente, la procura di Milano, gli indagati eccellenti che quasi sempre finivano in cella, la custodia cautelare che incombeva sulle vite dei protagonisti di quella stagione politico-economica che stava per essere archiviata e anche delle loro famiglie.

Ma chi era davvero Raul Gardini? Con gli anni – superato l’impulso di quell’ondata che travolse per sempre quella che era la Prima Repubblica – un giudizio più completo e più sereno ha permesso di ragionare con equilibrio e così si è cominciato a (ri)raccontare chi fosse Gardini. Dopo un silenzio perfino assordante. Dodici mesi fa Elena Stancanelli è uscita con Il tuffatore in un profilo che mette assieme le passioni dell’uomo e le sfide dell’imprenditore ma che deve molto inevitabilmente all’intervista-biografia di Cesare Peruzzi. Più di una confessione questa. Anche intima e arricchita nell’appendice da una documentazione in cui sono presenti interventi e lettere di Gardini.

Nelle prime pagine però, c’è proprio la testimonianza di questo rapporto con il padre Ivan e l’ossessione di lui per il modo di camminare del figlio. "È stata un’ottima persecuzione – racconta Gardini – perché ho imparato che nella vita è importante alzare i piedi: non si può inciampare nelle zolle e bisogna vedere quello che si calpesta. Conteneva un messaggio educativo che con il tempo ho fatto mio: una volta che hai imparato a camminare bene, cammina con me e faremo la strada insieme".

E di strada Gardini ne ha fatta, al fianco anche di Serafino Ferruzzi. Tutto iniziò – ancora la strada – inseguendo il Guzzino rosso di Serafino. "Il padre di Idina – racconta Gardini – a quel punto mi invitò a cena e così cominciai a frequentare la mia futura moglie". "Con Serafino – prosegue Gardini – ho avuto un rapporto interessante, ricco di stimoli. Mio suocero aveva la capacità di farti discutere, di farti pensare e di aiutarti a vedere le cose. Anche mio padre aveva questa caratteristica".

E quando nel 1979 Ferruzzi morì in un incidente aereo, Gardini a 46 anni prese il timone (proprio come piaceva dire a lui, uomo di mare e come avrebbe scritto nella lettera al Sole 24 ore pubblicata il 23 giugno 1993) del gruppo Ferruzzi. A quel punto chi è Raul? Un uomo ricco senz’altro, che non ha smesso però di guardare all’orizzonte e soprattutto al futuro. E per un imprenditore significa anche diversificare: il gruppo gigantesco, Ferruzzi, che oltre a fare acquisizioni e utili, si allarga alla ricerca, all’energia verde tratta dall’agricoltura con il bioetanolo (quanto fosse premonitrice questa visione nell’era che stiamo vivendo e in cui si parla di transizione energetica e biocarburanti è fin troppo evidente) e che scala Montedison.

L’inizio della fine. Qualcuno mitologicamente l’ha definito un Icaro contemporaneo. Giovanni Minoli invece nella prefazione inedita alla riedizione di questo volume, scomoda addirittura il Sessantotto che Gardini racconta di aver vissuto da spettatore a Parigi. "Una vita vissuta a mille all’ora tra fantasia e realtà", scrive l’ideatore di Mixer.

E il mare come sfogo. Perché poi, in fondo, c’era sempre il mare per lui. E la vela. Qualche giorno fa l’ha ricordato anche Paul Cayard, il 26enne americano che chiamò per guidare il Moro di Venezia ("Divertente, coraggioso, un grande motivatore"). Era il 1992 e un Paese intero trascorreva le sue notti davanti alla tv per la finalissima della Coppa America, a vedere un’imbarcazione italiana che se la giocava con chi aveva fatto la storia della vela a San Diego. Impensabile. Un anno dopo Palazzo Belgioioso. La solitudine e la fine, da tragedia greca.