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MATTEO MASSI
Magazine

Le nuove Brigate russe Quella guerra occulta combattuta sui social media

Il “soft power“ che manipola il dibattito pubblico, il cerchio magico di Putin. Marta Ottaviani indaga le strategie del Cremlino per condizionare le coscienze.

Le nuove Brigate russe  Quella guerra occulta   combattuta sui social media
Le nuove Brigate russe Quella guerra occulta combattuta sui social media

di Matteo Massi

Lo chiamano soft power. E quell’aggettivo soft, leggero, rischia perfino di essere quasi rassicurante. Ma il soft power russo non lo è, non può esserlo. E le evidenze di quanto sia invece pericoloso, tanto da incistare, fino a manipolare il dibattito pubblico, sono da un anno e mezzo di fronte ai nostri occhi. Con la guerra in Ucraina in primo piano e le tesi giustificazioniste che partono dal Cremlino ad abbracciare il tutto. Marta Ottaviani, giornalista di Quotidiano Nazionale, ha rimesso le mani (e bene) sul suo libro Brigate russe: è uscita da poco una versione aggiornata (La guerra occulta del Cremlino contro l’Occidente, Bompiani, collana Munizioni diretta da Roberto Saviano).

Si parte dall’etimologia. E da Cremlino. Kreml in russo significa fortezza: una fortezza sempre sotto assedio nel corso della Storia, dall’età imperiale in poi ed è questa la visione che Putin vorrebbe imporre. Anche ora. E per farlo oltre alla propaganda allo stato puro, utilizza tutti gli strumenti di quella che ormai da un po’ viene definita la guerra ibrida. Ibrida o non lineare, ma sempre guerra, anche quando un Paese non si arma materialmente, ma lavora in modo subdolo attraverso le infiltrazioni nell’opinione pubblica e nell’economia. Con l’acceleratore rappresentato dalla digitalizzazione del mondo, attraverso l’ultima rivoluzione tecnologica, in cui i social network (che sono una parte fondamentale ma sicuramente la più popolare della Rete) sono la corsia preferenziale per fare correre le teorie più disparate. E anche quelle cospirazioniste: la storia di Capitol Hill, da una parte, le fantomatiche tesi no vax dall’altra e le balzane ricostruzioni proprio sulla guerra tra Ucraina e Russia, cercando di confondere e annacquare chi è l’aggredito e chi l’aggressore, sono tre elementi per capire in quale terreno si muove il soft power.

Soft power e guerra ibrida. A incarnarlo politicamente e militarmente sono tre figure centrali del cerchio magico di Putin. Individuate immediatamente nel libro di Ottaviani: l’attuale ministro della Difesa Shoigu che per primo teorizzò come metodi non militari, guardando anche alle Primavere Arabe, potessero rovesciare il potere considerato avverso, agendo su due leve come la manipolazione dell’opinione pubblica (anche attraverso la Rete e la platea dei social, Twitter compreso) e l’attacco su un’eventuale vulnerabilità economica di un Paese. L’altra figura chiave è il generale Gerasimov, da qui anche la definizione di metodo Gerasimov che si muove sulle identiche direttrici - e quindi non solo sul campo militare - tracciate da Shoigu.

Infine serve un pensatore-filosofo che delinei un orizzonte storico-politico. E quello è Alexander Dugin, da sempre convinto assertore di un Occidente debosciato, privo di valori e dell’Eurasia invece come forza costruttrice di un nuovo ordine mondiale. Anche il pensiero di Dugin si muove tra l’analogico e il digitale per fare breccia il più possibile tra vecchi e nuovi adepti. Si chiamerà pure soft power. Ma alla fine non è così leggero se non per il modo d’insinuarsi. A maggior ragione di fronte a una guerra.