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CHIARA DI CLEMENTE
Magazine

La verità di una donna, lo Strega del coraggio

In “Come d’aria“ Ada D’Adamo non racconta solo la sua malattia. Svela atavici tabù e sensi di colpa delle madri ancora vivi nella società di oggi

La verità di una donna, lo Strega del coraggio
La verità di una donna, lo Strega del coraggio

di Chiara Di Clemente

"La chiesa, la politica, la medicina smettano di guardare alle donne come a puttane che non vedono l’ora di uccidere i propri figli. L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico": nel suo libro Come d’aria, vincitore giovedì sera del 77° Premio Strega, Ada D’Adamo, scomparsa il primo di aprile per un tumore, a 55 anni, pochi giorni dopo aver saputo che la sua opera era arrivata nella dozzina dei finalisti, cita la lettera che scrisse nel febbraio 2008 a un quotidiano, e che fu poi ripresa pubblicamente da Emma Bonino.

La figlia di Ada, Daria – oggi diciottenne – è venuta al mondo con una malattia genetica, l’oloprosencefalia: le manca una membrana che separa i due emisferi del cervello, una malattia incurabile. La ragazza non parla, vede pochissimo, non riesce a stare dritta, il collo non sostiene il peso della testa, ha crisi di pianto che durano ore e annichiliscono chi l’accudisce. Prosegue la D’Adamo nel suo memoir, ricordando quella lettera: "Volevo spezzare la divisione tra buone e cattive madri. Non volevo piegarmi all’ipocrisia, autoincludendomi senza alcun merito nel novero delle donne che avevano abbracciato la croce ed erano citate come esempio di virtù. Io la croce avrei preferito non caricarmela sulle spalle, la virtù non l’avevo scelta. Non mi sentivo e non mi sentirò mai una “madre coraggio“, e sapevo che solo una mancata diagnosi prenatale mi divideva dal branco di quelle considerate egoiste, infami, omicide. Nel bene e nel male la mia vita senza di te sarebbe stata diversa. Scrissi che avrei gradito poter scegliere".

Edito dalla piccolissima Elliot, il libro della D’Adamo ha battutto (con 185 voti) concorrenti giganti, a partire dal favorito Mi limitavo ad amare te (secondo con 170 voti) di Rosella Postorino, che ha alle spalle Feltrinelli. Com’è stato possibile? Per alcuni commentatori in favore di Come d’aria ha giocato la risonanza emotiva di una tragedia in cui la letteratura si intreccia alla vita, a due malattie terribili, alla morte, dunque una sorta di “fattore commozione“. Ma chi Come d’aria l’ha letto sa che non ci può essere niente di più falso: il libro vince (un premio, il rispetto del lettore) fors’anche perché è fatto di vita, malattie e morte, ma soprattutto perché questa vita, queste malattie e questa morte attraverso la letteratura – stile secco, tono piano, mai una parola, un aggettivo inutile – entrano in contatto diretto con la nostra anima. Si piazzano lì, lì ci restano, non danno scampo quando si contorcono nei dubbi più laceranti e atavaci, danno consolazione quando si trasformano in un flusso infinito d’amore.

È un libro militante e rivoluzionario, per la sua verità, Come d’aria: la verità che una madre può non essere pronta, non orgogliosa nel prendersi la croce di un figlio malato. E soprattutto la verità che riguarda l’inestinguibilità del dolore, persino della colpa, che lega una madre al proprio figlio abortito. Parliamo di una madre che ha scelto liberamente di interrompere una gravidanza – come ha fatto Ada prima di avere Daria –, e che poi ha pensato pure di abortire di nuovo: ecco, quella madre può essere la donna più atea, emancipata, autodeterminata del mondo. Ma l’aborto voluto, cercato, evitato, l’aborto anche solo pensato resta un dolore insuperabile. E la persistenza del senso di colpa che lo accompagna, indagata in un libro come quello della D’Adamo – e come anche nell’ultimo della Lattanzi Cose che non si raccontano – porta ognuno, ognuna di noi, a interrogarsi: perché? perché?

"Perché mi sono ammalata di cancro?", scrive Ada. "Forse avevo qualche colpa da espiare. Una colpa grande, la peggiore che si possa immaginare. Una colpa indicibile e quindi mai confessata ad alcuno. Riguarda te, la consegno alle tue piccole mani che accarezzano, alle gocce delle tue pupille, alle tue orecchie capaci di sentire anche un soffio, alle tue labbra costrette a custodire il segreto... Perderti a causa di un aborto spontaneo poteva essere una possibilità... Di quella corsa in motorino non ricordo i particolari, ma credo di aver preso di proposito qualche buca e di averne evitate tante altre nel duplice desiderio di ucciderti e di salvarti. Ecco quello che ho fatto – scrive Ada –. Non cerco giustificazioni. Volevo essere madre ma ero meschina e vile... Avevo invocato l’intervento della malasorte, senza sapere che il bersaglio di quella sorte non potevi essere solo tu, ma saremmo state io e te, insieme, per tutta la vita". Madre e figlio – nato e non nato – insieme per sempre.