np_user_4025247_000000
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

La Rosa più spinosa della canzone popolare

Cinquant’anni fa l’esclusione da Sanremo e le proteste della Balistreri. Un’esistenza difficile, poi l’affermazione come grande voce del Sud

La Rosa più spinosa della canzone popolare
La Rosa più spinosa della canzone popolare

di Lorenzo Guadagnucci

Ignazio Buttitta, il grande poeta siciliano, conobbe Rosa Balistreri a Firenze, in una casa privata: lei cantò un suo commovente poemetto, Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, versi di dolore e di lotta. Pochi anni dopo, in televisione, davanti alla stessa Rosa, Buttitta descrisse così quell’incontro: "Io quella sera non la dimenticherò mai. La voce di Rosa, questo canto strozzato, drammatico, angosciato pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre. Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza autore". C’è un documentario – intitolato appunto Rosa Balistreri. Un film senza autore, firmato da Marta La Licata – che ripropone questo pezzo di storia della nostra migliore cultura popolare: il poeta dei canti di lavoro e di protesta che parla di Rosa con passione e sguardo ardente, e lì vicino la donna, la cantante che più e meglio di altri ha rappresentato la Sicilia e la voglia di combattere le avversità della vita e della storia cadendo spesso, ma sempre risalendo. Sul volto di Rosa, mentre Buttitta parla, scorrono lacrime. Le stesse lacrime – di rabbia, di sofferenza, di passione – che tante volte scenderanno sulle guance di Rosa durante i suoi concerti, mentre interpreta, in siciliano verace, le sue dure, spesso memorabili canzoni.

Che vita, quella di Rosa. Un dramma, ancora più che un romanzo, per dirla con Buttitta. Era nata a Licata nel 1927 in una famiglia poverissima, ai limiti dell’indigenza e forse oltre; Rosa viveva coi genitori e i fratelli un’esistenza segnata dalle privazioni, dalla fame. In un’intervista ricorderà i risvegli prima dell’alba e i chilometri percorsi da bambina a piedi con il padre per raggiungere campi di grano già mietuti ma nei quali si poteva ancora “spigolare” qualcosa per arrivare a ottenere un po’ di farina per il pane… Rosa fin da bambina sperimenterà fino in fondo, senza sconti, la dura condizione delle donne povere e sottomesse alla cultura violenta e patriarcale del proprio tempo. Sarà una sposa bambina, subirà abusi e molestie (scioccanti, per lei, quelle di un parroco), ma comincerà presto a mostrare il suo carattere ribelle, a partire dal giorno in cui colpì il marito al collo con una lama: convinta di averlo ucciso, si consegnò ai carabinieri; ma l’uomo era solo ferito e lei se la cavò con pochi mesi di prigione. Non si pentirà mai di quel gesto, che fu l’inizio di un percorso complicato ma sempre aperto di personale liberazione.

Ci vollero il trasferimento a Firenze, dove cominciò una nuova vita grazie anche a un banco di frutta e verdura, e poi alcuni incontri stavolta fortunati per portare alla luce tutto il talento di Rosa, una donna che aveva imparato a leggere e scrivere a 32 anni e che finì per affermarsi come la maggiore cantautrice “working class” del suo tempo. A Firenze Rosa conobbe il pittore Manfredi Lombardi, suo compagno di vita per alcuni anni e apripista verso un milieu intellettuale altrimenti inaccessibile, e sempre a Firenze incontrò Buttitta e poi Dario Fo, che ne restò affascinato e la volle nel suo spettacolo “Ci ragione e canto”.

Oggi la voce e la canzoni di Rosa Balistreri hanno un posto riconosciuto nella storia della canzone popolare italiana e perfino in quella del Festival di Sanremo, al quale pure non partecipò, esclusa all’ultimo momento dall’edizione del 1973 perché – si disse – la sua canzone non era inedita. Lei reagì a quella che reputava una censura politica mettendosi a cantare il suo brano – la straziante Terra ca nun senti – per strade, piazze e mercati nel freddo inverno di quell’anno. Sono passati cinquant’anni e quei versi di denuncia ma pieni di nostalgia – “Terra che non trattieni chi vuole partire e niente fai per farli tornare e piangi, piangi ninna oh” – suonano ancora come un moto d’orgoglio e un momento di verità. "Li ho messi tutti nel sacco – disse Rosa in un’intervista – Le mie storie di miseria provocheranno guai a molti pezzi grossi il giorno in cui l’opinione pubblica sarà più sensibile ad argomenti come la fame, la disoccupazione, le donne madri, l’emigrazione, il razzismo dei ceti borghesi (…) Era questo il mio scopo quando ho accettato di cantare a Sanremo. Anche se nessuno mi ha visto in televisione, tutti gli italiani che leggono i giornali sanno chi sono, cosa sono stata, tutti conoscono le mie idee, alcuni compreranno i miei dischi, altri verranno ai miei concerti e sono sicura che rifletteranno su ciò che canto".

La riflessione non è stata così profonda e rivoluzionaria come Rosa sperava, ma il suo repertorio non sembra tramontare e la sua voce risuona ancora tenace e piena di energia quando descrive sé stessa: "l mio canto è un discorso, il mio canto è una preghiera, il mio canto è una protesta, il mio canto è un amore verso di te..."