Istruzione e parità di genere "Donne più brave degli uomini Non disperdiamo questi talenti"

La capo di gabinetto della Regione, Cristina Manetti: "Le ragazze prendono voti più alti ma poi sono penalizzate da precariato e stipendi bassi. Una battaglia da vincere dentro gli atenei".

Istruzione e parità di genere  "Donne più brave degli uomini  Non disperdiamo questi talenti"
Istruzione e parità di genere "Donne più brave degli uomini Non disperdiamo questi talenti"

Cristina Manetti*

FIRENZE

E’ una realtà complessa, difficile da ridurre a un giudizio univoco, come succede sempre quando indubbi risultati già raggiunti si mescolano alla consapevolezza della tanta strada ancora da percorrere. Ma questa è, appunto, la realtà che caratterizza il rapporto tra università e donne: una realtà che è stata oggetto di analisi e confronto fin dall’avvio della Toscana delle donne, il progetto speciale della Regione Toscana dedicato alla parità di genere.

E dunque, i dati ci dicono che in Toscana le donne sono più istruite degli uomini nelle stesse fasce d’età e che è aumentata significativamente la loro partecipazione al mercato del lavoro soprattutto in presenza di titoli di studio elevati. La quota di laureate appariva superiore a quella maschile già nella seconda metà degli anni Novanta e negli ultimi anni la crescita è stata ancora più accentuata.

Dati positivi, appunto, che però non possono nascondere dati che hanno un significato ben diverso. Continuano infatti a persistere situazioni tipiche del divario di genere: condizioni contrattuali più precarie, prevalenza nei settori a scarso contenuto tecnologico, un differenziale retributivo ancora persistente e una scarsa presenza nei ruoli apicali delle gerarchie professionali.

È come se anno dopo anno, nei singoli percorsi di vita si dilapidasse un potenziale importante. Le studentesse hanno voti migliori degli studenti durante il percorso scolastico e l’università, però poi questo vantaggio non si concretizza quando si passa al mercato del lavoro.

Un mercato dove certo si scontano anche maggiori rischi di abbandono, quasi sempre legati alla maternità e alla difficoltà di conciliare vita lavorativa e cure famigliari. Ma è indubbio che c’è anche altro e questo altro si annida nella stessa università e chiama in causa le scelte dei percorsi al suo interno. Spesso le donne tendono a concentrarsi nelle aree disciplinari che danno accesso a lavori con remunerazioni generalmente più basse.

C’è chi parla addirittura di “segregazione formativa” con le donne che tendono a impegnarsi di più nelle discipline umanistiche e sociali e meno degli uomini nelle materie tecnico-scientifiche: le cosiddette materia dell’area Stem nelle quali, secondo un recente Rapporto AlmaLaurea, le retribuzioni sono più alte del 16% e nelle quali, comunque, le aziende sono più inclini a fare contratti stabili. E qui la Toscana è più in difficoltà che altrove, visto che registriamo un dato inferiore alla media nazionale per le laureate in materie scientifiche: l’11,3% rispetto al 13,2%.

Credo che questo sia dovuto in gran parte a convenzioni e stereotipi ancora da superare. E l’università, certo, è terreno decisivo perché questo obiettivo sia raggiunto.

Anche se, va detto, la battaglia per la parità di genere va vinta nella stessa università: e basti vedere i numeri impietosi sulla componente femminile dei professori ordinari – nemmeno un quarto del totale – e dei rettori italiani.

"Molti talenti si sono persi nella nostra società unicamente perché questi talenti portavano una gonna", diceva Shirley Crisholm, attivista e prima donna nera eletta al Congresso americano. In Toscana non vogliamo più che si perda uno solo di questi talenti. E intendiamo vincere questa battaglia già all’università.

* Capo di gabinetto

Regione Toscana