"Il saper fare italiano piace ai mercati" Così cresce Piquadro

"Il saper fare  italiano piace  ai mercati"  Così cresce  Piquadro
"Il saper fare italiano piace ai mercati" Così cresce Piquadro

OGGI PRESIEDERÀ il cda chiamato ad approvare i risultati dell’ultimo esercizio chiuso il 31 marzo. Un anno più che positivo per Marco Palmieri, presidente, ad e fondatore – era il 1988 – di Piquadro che ha visto, in base ai dati preliminari già annunciati al mercato – dove la società bolognese è quotata dal 2007 – una sensibile crescita del fatturato del 17,5% a 175,6 milioni di euro. E, anticipa Palmieri, un proporzionale aumento rispetto ai ricavi della redditività a cui si aggiunge una posizione finanziaria positiva. Tutti i marchi del gruppo, tra i leader del made in Italy di trolley, borse e valigie per il business e il viaggio e per le bags da donna, a partire da quelle realizzate nel distretto d’eccellenza mondiale della pelletteria di Scandicci, hanno realizzato un incremento di vendite in Italia e negli oltre cinquanta Paesi del mondo, favorite anche dalla ripresa di consumi e viaggi post-pandemia. Paesi dove, in circa 175 punti vendita, quasi tutti monomarca e destinati ad aumentare entro l’anno con 5-6 nuove aperture tra cui quelle già decise a Bologna (The Bridge), aeroporti di Roma, Taiwan e Monaco, vengono venduti i prodotti realizzati dall’azienda di Gaggio Montano, piccolo centro a cavallo dell’Appennino tosco-emiliano a metà strada tra Bologna e Firenze. Quindi Piquadro, The Bridge e lo storico brand francese Lancel – 150 anni di storia alle spalle – acquisito da Piquadro nel luglio del 2018. "Comprando Lancel – spiega Marco Palmieri (foto) – sapevamo che ci attendeva una sfida molto importante essendo un marchio storico e famoso ma anche in una fase di sofferenza".

Sfida vinta?

"Direi di sì, perché le vendite di Lancel sono in continua crescita e siamo non lontani dal punto di vista dei risultati finanziari al break-even. Questo rilancio è avvenuto grazie a una completa riorganizzazione di Lancel, dall’ufficio stile al marketing alle piattaforme digitali per l’e-commerce. E soprattutto al trasferimento di tutta la produzione a Scandicci".

Si può affermare quindi che voi siete davvero un brand "made in Italy" della moda?

"Scandicci è la capitale mondiale della pelletteria e in questo distretto producono grandi marchi della moda e del lusso. Detto questo, posso dire che la produzione dei brand Lancel e The Bridge viene realizzata tutta qui e anche una parte di quella di Piquadro. Complessivamente circa il 70% dei nostri prodotti sono ideati e realizzati in Italia".

Il Made in Italy quindi rimane vincente sui mercati?

"In questi anni il livello della complessità dei mercati e della concorrenza è cresciuto. La leva vincente è rappresentata dall’originalità e identità della nostra proposta che risponde alla richiesta di una clientela che cerca il prodotto di qualità, artigianale, personalizzato".

Un mercato quindi che sta premiando l’Italia e le sue imprese. Sorpreso da questa crescita del Pil del nostro Paese?

"No. Guardando fuori dall’Italia si vede la sofferenza del nostro principale competitore manifatturiero europeo, la Germania, e anche e soprattutto della Cina – dove noi comunque stiamo ancora crescendo molto con undici punti vendita – le difficoltà cinesi credo non siano dovute solo all’uscita dalla pandemia ma anche a problemi, strutturali a cominciare dalla concorrenza di altri Paesi di quell’area e in particolare dell’India".

Torniamo all’Italia.

"La sua maggiore resilienza secondo me è dovuta a tre fattori. Il primo è il reshoring, cioè il riportare le produzioni un tempo delocalizzate nei nostri distretti manifatturieri. Un rientro dettato dall’aver vissuto sulla pelle le difficoltà produttive e logistiche create sia dalla pandemia sia dalla situazione geopolitica nel mondo, a partire dalla guerra in Ucraina. Il secondo motivo, come spiegavo prima, è legato a un mercato che chiede un’offerta segmentata e apprezza sempre di più il bello e ben fatto del Made in Italy rispetto alle produzioni globali seriali. Infine l’esigenza di avere una supply chain sana e sicura per gli standard qualitativi ma anche etici, che non sempre può essere garantita in altre parti del mondo, come l’Asia e comunque in filiere troppo lunghe e lontane".

Più prodotti realizzati in Italia significa più necessità di manodopera. E qui si tocca il tasto dolente delle imprese con non trovano le professionalità richieste.

"È un dramma comune a molte imprese. Anche noi, che abbiamo l’head quarter a metà strada tra Bologna e Firenze, incontriamo le stesse difficoltà. Un problema sicuramente è legato alla ricerca di skill che, negli ultimi cinque-sei anni, sono cambiate, e l’offerta non si incontra con una domanda che ricerca, oltre alle competenze tecniche e digitali, anche talento e creatività. Ma i giovani, penso a quelli che negli ultimi anni hanno preferito trasferirsi all’estero, dovrebbero tenere conto nella scelta della qualità della vita dell’Italia".

Una qualità che fa la differenza?

"Non c’è dubbio. Quando pensiamo a un prodotto del Made in Italy dobbiamo anche pensarlo, in termini etici e di sostenibilità anche sociale, realizzato in un Paese dove (a solo titolo di esempio) scuola e sanità sono quasi gratuite, e credo che in futuro sempre di più le scelte dei consumatori saranno influenzate non solo dal fatto che un bene sia bello e performante, e quindi sia acquistabile per il suo rapporto qualità-prezzo, ma anche per i suoi contenuti etici, quelli rappresentati dai valori Esg".

Questo che cosa significa?

"Che saranno sempre più premiate le imprese che stanno facendo della sostenibilità ambientale, sociale e etica, un valore. E questo valore dovrebbe sempre di più poter essere preso come indicatore di valutazione dei prodotti. Questo significa che dietro un trolley o una bag Piquadro, Lancel o The Bridge ci sono forte attenzione all’ambiente nella ricerca nei materiali e nella produzione per ridurre sempre di più la loro impronta di carbonio (ad esempio), ma anche codici etici".